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Comunicato stampa

Un italiano su tre ha la pressione alta. Una condizione spesso sottovalutata tra le donne e durante la gravidanza Brescia, 16 gennaio 2017 - L’ipertensione rappresenta oggi uno dei maggiori rischi di mortalità cardiovascolare. Un italiano su tre ha livelli elevati di pressione, una situazione che ha implicazioni non soltanto mediche ma anche sociali ed economici. E’ questo il messaggio di Enrico Agabiti Rosei, Direttore del Dipartimento di Medicina della Azienda Spedali Civili di Brescia e Presidente della ESH, European Society of Hypertension, in apertura del congresso dal titolo “ESH update on hypertension and cardiovascular protection”, promosso a Brescia dalla Fondazione Internazionale Menarini e di cui Agabiti Rosei è presidente. «Stiamo parlando di una condizione che interessa l’apparato cardiovascolare che può portare a gravi conseguenze soprattutto a carico di arterie, cuore, rene e cervello. Si calcola che nel mondo provochi ogni anno oltre otto milioni di decessi. La Società Europea di Ipertensione è molto attenta a questo scenario ed è impegnata al miglioramento del controllo della pressione tra la popolazione generale. Uno degli strumenti principali è l’informazione, sia dei cittadini sia dei medici. E tra gli appuntamenti principali di quest’anno si segnala appunto il congresso di Brescia». Tra i temi principali, il miglior trattamento per ridurre il rischio cardiovascolare, l’analisi di nuovi fattori di rischio, l’associazione tra problemi cardiovascolari e altre condizioni, l’ipertensione nei bambini e negli adolescenti, la differenza di trattamento tra uomini e donne. «Le donne non percepiscono le malattie cardiovascolari come un importante problema di salute, nonostante sia evidente che le donne sono a maggior rischio rispetto agli uomini di morire per malattie del cuore associate a problemi di pressione» avverte Maria Lorenza Muiesan, Dipartimento di Scienze Cliniche e Sperimentali, Università di Brescia. «Una corretta strategia di prevenzione dovrebbe prevedere una maggiore conoscenza dei diversi fattori di rischio nella donna, come per esempio l’ipertensione in gravidanza e la presenza concomitante di malattie autoimmuni, come il lupus eritematoso. Il sesso femminile rappresenta uno dei principali fattori associati a una maggiore prevalenza di “ipertensione da camice bianco”, caratterizzata da un aumento stabile dei valori pressori quando misurati in ambiente clinico e dalla pressoché completa normalizzazione dei valori pressori quando misurati al di fuori del contesto clinico. In ultimo non va dimenticato la progressiva perdita del fattore protettivo esercitato dagli ormoni femminili, riduzione che si verifica in post-menopausa con la riduzione degli estrogeni». Un’altra situazione in cui l’ipertensione può creare problemi è la gravidanza. «L’ipertensione è presente in circa una gravidanza su dieci» conferma Renata Cifkova, del Centro per la Prevenzione Cardiovascolare all’Università di Praga, Repubblica Ceca. «E’ importante distinguere i casi in cui la donna è già ipertesa prima della gravidanza, oppure se è proprio la gravidanza a indurre ipertensione (la cosiddetta ipertensione gestazione). Le linee guida della Società Europea di Ipertensione raccomandano il trattamento farmacologico nelle donne gravide se la pressione è superiore a 150 mmHg, mentre il trattamento antipertensivo deve iniziare già con un livello di 140 mmHg se la donna soffre di ipertensione gestazionale. Le donne con alto o moderato rischio di pre-eclampsia dovrebbero assumere 75 mg di aspirina ogni giorno nelle dodici settimane prima del parto. Donne che presentano ipertensione nella loro prima gravidanza hanno un rischio maggiore nella gravidanza successiva. Più precocemente si manifesta l’ipertensione nella prima gravidanza e più elevato è il rischio che l’ipertensione di manifesti nella seconda gravidanza. Le donne che sviluppano ipertensione gestazione o pre-eclampsia hanno un rischio più elevato di ipertensione, ictus e infarto in futuro. Per queste donne è raccomandato uno stile di vita sano e un controllo periodico, preferibilmente annuale, per misurare la pressione e tenere sotto controllo altri fattori metabolici». Agabiti Rosei, infine, si sofferma sull'articolato problema della scarsa aderenza alla terapia. «È un aspetto che va affrontato sotto molti aspetti. La relazione medico-paziente non può essere limitata da tempi troppo stretti e richiede una precisa motivazione del curante. Il sistema deve poi favorire l'uso appropriato dei farmaci e se possibile risolvere i vari problemi economici e organizzativi. Spesso tutto ciò non basta e allora dovranno essere cercati sistemi più incisivi per favorire l'assunzione delle terapie in modo regolare, per esempio con l'aiuto, in vari modi, della telemedicina. C'è poi la semplificazione della terapia, in particolare con la riduzione del numero di compresse da assumere». Una posizione condivisa anche da Michel Burnier, del Servizio di Nefrologia e Ipertensione dell’Università di Losanna, Svizzera. «Oggi la gestione clinica dell’ipertensione raccomanda un corretto stile di vita, con consigli che riguardano la perdita di peso, una minore assunzione di sale, maggiore esercizio fisico, cui si associa l’assunzione di farmaci per ridurre la pressione arteriosa» commenta Burnier. «Però l’aderenza del paziente alle indicazioni del medico rappresenta il maggiore determinante nel successo terapeutico, e i cambiamenti nello stile di vita necessitano di una perseveranza a lungo termine per essere efficaci. Allo stesso tempo, anche la terapia va seguita scrupolosamente, mentre secondo diverse ricerche i pazienti che smettono di assumere i farmaci rappresentano una percentuale molto alta. Ciò è dovuto al fatto che l’ipertensione è spesso asintomatica, ma anche perché i pazienti sono frequentemente affetti da più patologie e costretti ad assumere molti farmaci. Da questo punto di vista la disponibilità di farmaci in associazione contro l’ipertensione, e quindi poter assumere una sola compressa, può rappresentare un’arma in più per invogliare il paziente a proseguire la terapia».

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