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Dettagli evento:

“Parlare con gli ammalati è una dote di natura o s’impara?”

Iscrizione :
Gratuita
Data :
31/10/2015 - 31/10/2015
Luogo :
Bergamo (Italia)
Relatori :
Carlo Nicora
Disciplina :
-
Chi stabilisce cosa è meglio per l’ammalato? In altre parole chi ti "cura"? Il dottore, chi se no? E il dottore di un tempo era come quello di Lev N. Tolstoj in La morte di Ivan Il'ic? "Vedete, questo indica che nei vostri visceri accade qualcosa, ma se l’esame della tale e tal altra cosa non lo confermasse, bisognerebbe supporre allora questo e quest'altro. E se si suppone questo e quest'altro, in tal caso si potrà fare così...". A Ivan Il'ic importava una sola cosa: il suo stato era grave sì o no? "Ditemi, dottore, in generale questa malattia è grave oppure no?". Il medico lo fissò severamente, attraverso gli occhiali, come a voler dire: accusato, se non state al vostro posto, sarò costretto a farvi allontanare dall'aula. "Vi ho già detto, signore, tutto quello che ritenevo utile e ragionevole che sapeste". Oggi è diverso, tanti ammalati vanno dal dottore dopo aver passato ore in internet, sanno già molto della loro malattia e dei centri migliori e le terapie più moderne. Sbagliato? Niente affatto. Più un ammalato è informato più è facile curarlo ed è specialmente vero quando non ci sono abbastanza dati per sapere qual è la cosa giusta da fare. Ma "curare non è più un verbo che allude allo stato d’animo del terapeuta verso il suo assistito, segnala la molteplicità di azioni che il primo svolge sul secondo" scrive Umberto Curi, e poi "curare" o "prendersi cura"? Importa poco, il rapporto dell'ammalato col suo medico va ben al di là del curare o prendersi cura, è tutt’altra cosa. La lettera della mamma di un ragazzo di 18 anni ci aiuta a scoprirlo: "Mio figlio ha avuto una diagnosi di ipertensione polmonare e soffre di reni. Ho letto tanto, e mi pare di aver capito che ci potrebbe essere un legame tra queste due malattie. Lo hanno curato con un beta bloccante, warfarina e l-arginina, la pressione nell'arteria polmonare è tornata normale. È stato fortunato, perché mi pare, da quello che ho letto, che una risposta così favorevole a questi farmaci sia insolita. Adesso però sta di nuovo male, fatica un po' a respirare. So che ci sono farmaci nuovi. Lei pensa si possa usare la prostaciclina per bocca? L'ultima spiaggia per il mio ragazzo potrebbe essere un antagonista di tipo A del recettore dell'endotelina. Pensa che possa servire al mio ragazzo o farà male? Sono anche preoccupata per mia figlia, ha 16 anni, studia a Oxford. Se prendesse la pillola, si ammalerebbe anche lei? E se decidesse di avere una gravidanza, potrebbe avere l’ipertensione polmonare? Forse potremmo incontrarci e parlarne". – 3 – Quello che il New England Journal of Medicine nel numero di ieri chiama “The changing task of medicine” la sfida della medicina che cambia, è tutto qua, in questo “potremmo trovarci e parlarne”. Per quelli che lo sanno fare si capisce, visto che all’Università a parlare agli ammalati non te lo insegna nessuno. E un bravo medico deve anche saper ascoltare per poi suggerire le soluzioni e i vantaggi e i rischi. E se una cosa non la sa fare lui ti manda dalla persona giusta (questo un po’ è prendersi cura) senza connotazioni affettive o caritatevoli però perché oggi è l’ammalato l’artefice vero del suo guarire. Un po’ come dal barbiere – irriverente se volete ma rende l’idea - quasi nessuno di quelli che ci vanno dice "faccia lei". I più vogliono i capelli così, la messa in piega cosà, il barbiere consiglia, ma si decide insieme. Quando poi si ha a che fare con una mamma come quella della lettera - e oggi di malati così o quasi così ce ne sono - servono conoscenze anche molto sofisticate. Di medicina? Non solo, “serve curare lo spirito oltre che il corpo” scrive il professor Veronesi, che è anche autore di un bellissimo libro: “Una carezza per guarire”. Ma si può guarire con una carezza? Forse no, ma certo si sta meglio. Entro certi limiti però: se uno ha un’emorragia cerebrale quello di cui c’è bisogno è un neurochirurgo con la pratica giusta ("la téchne" per dirla anch'io coi greci) uno che sappia operarti bene insomma. Per Matteo è stato proprio così. Lui non ha nemmeno 50 anni, ha avuto bisogno della dialisi per più di 10 anni, poi finalmente un trapianto gli ha ridato la vita. Moglie e due bambine e un bel lavoro come avrebbe sempre voluto. Una sera non si sente bene, lo portano al pronto soccorso. Sulle prime non sembra niente, gli esami del sangue sono normali, fanno un elettrocardiogramma: normale, anche l’ecografia del cuore è normale. Ma il cardiologo del pronto soccorso non si accontenta, fa un’altra ecografia con una sonda che passa attraverso l’esofago. C'è una fessura nell'aorta. E’ una cosa grave, non c’è un minuto da perdere, con quella lesione lì il più delle volte si muore. Dopo 10 minuti Matteo è in sala operatoria, niente TAC non c’è tempo, il cardiochirurgo di guardia quella sera è uno di quelli bravi. Cominciano a operare alle 10 di sera e finiscono alle 7 del mattino dopo. – 4 – Matteo dopo pochi giorni lascia l'Ospedale. Chissà, forse non si è nemmeno reso conto di essere stato così vicino alla morte. Le carezze per Matteo sono quelle delle sue bambine che possono ancora giocare con lui. Quel cardiologo e quel chirurgo non li incontrerà nemmeno più. Saranno stati “in pensiero” per lui? Non lo so, e non è nemmeno tanto importante. Certo che "contrapporre la scienza all’attenzione per la persona è un vecchio trucco retorico è la crescita delle conoscenze che ci rende più umani" (Alessandro Pagnini - Sole 24 Ore 21 luglio 2010). Tanto più che oggi al letto dell'ammalato oggi si incontrano genetica, biologia, evoluzione, dati degli studi che servono per guarirti e poi, psicologia sperimentale e persino neuroscienze. Dov'è finita quella che chiamavano clinica? Non c'è quasi più e sta scomparendo anche chi curava o si prendeva cura. Resta una mole impressionante di conoscenze che cresce ogni giorno e che consente di curare - e guarire certe volte - malattie che fino a ieri erano senza speranza. Ricordo che Edoardo Boncinelli in un suo scritto si chiedeva che senso avesse contrapporre la scienza all “umanesimo”. C’è niente di più umano che studiare come è fatto l’uomo? E come funzionano il suo corpo e la sua mente? E come essere d’aiuto se qualcosa si inceppa?

Giuseppe Remuzzi Co-Presidente del Convegno

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