Il diritto alle cure del paziente multietnico
ROMA, 23 GIUGNO 2017 - Malattie infettive e tropicali, parassitosi, patologie polmonari
dimenticate e ri-emergenti, limiti religiosi e malattie sessualmente trasmissibili, patologie
strettamente correlate ai giovani migranti. Sono alcuni degli argomenti affrontati durante il
corso “Diritto alla cura ed accesso alla terapia del paziente multietnico”, evento scientifico
promosso dalla Fondazione Internazionale Menarini che si è svolto in questi giorni a
Roma.
«È necessario garantire i diritti umani, la tutela della salute e la presa in cura per tutti,
italiani e migranti» spiega Aldo Morrone, Direttore dell’Unità di Dermatologia Clinica agli
Istituti Fisiatrici Ospedalieri- Istituto San Gallicano di Roma e presidente del meeting. «Ed
è essenziale mettere al centro del sistema le persone più fragili, che hanno più bisogno di
essere prese in cura. Bisogna lottare perché le istituzioni si rendano conto che è
necessario dare accesso alle cure anche ai pensionati con reddito minimo, alle donne
vittime di sfruttamento sessuale, ai lavoratori precari e alle persone disoccupate. Ma
questo non è sufficiente: devono essere avviate anche iniziative internazionali nei paesi
più poveri per creare condizioni più civili e dignitose per evitare che esodi bilico continui
con grande perdita di sviluppo economici e dignità umana di questi paesi».
Filo conduttore del meeting è stato il deciso rifiuto di pregiudizi e luoghi comuni, primo tra
tutti quello relativo alla figura del migrante come portatore di malattie. «I migranti possono
trasmettere le infezioni esattamente come i cittadini italiani» avverte Giuseppe Ippolito,
Direttore Scientifico dell’Istituto Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di
Roma. «I migranti possono acquisire alcune infezioni soprattutto nei primi due anni in cui
si trasferiscono in Italia a causa di condizioni igieniche e abitative spesso disastrose, per
cui bisogna intervenire soprattutto assicurando loro un’adeguata assistenza sanitaria. Da
questo punto di vista dobbiamo essere orgogliosi, perché l’Italia è uno dei pochi Paesi
europei che garantisce le cure sanitarie anche ai migranti non registrati».
«Il rischio pandemia dipende da vari elementi. La mobilità può favorire malattie infettive,
sia dei migranti sia dei cittadini dei Paesi occidentali che oggi in aereo raggiungono anche
le più remote località della Terra » aggiunge Roberto Cauda,Professore di malattie infettive
e medicina tropicale dell’Università Cattolica di Roma. «Anche per questo motivo il
problema della scarsa copertura vaccinale è globale e riguarda sia paesi di accoglienza
sia di provenienza. In molti paesi di provenienza grazie a un efficiente servizio sanitario
nazionale si assiste a una buona copertura vaccinale, ma dobbiamo mantenere alta la
guardia soprattutto perché in alcuni paesi, come Siria, sta avvenendo un disfacimento
dello Stato e quindi l’assistenza sanitaria sta diventano molto carente. Da parte nostra il
dovere dell’accoglienza delle persone provenienti da questi Paesi è vantaggioso anche
per noi, perché se il migrante non viene identificato e curato può essere un pericolo, cosa
che non avviene se viene accolto e gli viene garantita un’adeguata assistenza». E tra le
persone più a rischio gli esperti segnalano gli individui più indifesi: le donne e i bambini.
«Le donne sole con figlio sono tra le persone migranti più fragili» conferma Rosaria
Giampaolo, Responsabile della Struttura Complessa “Ambulatorio Pediatrico” all’Ospedale
Bambino Gesù di Roma. «La nascita di un figlio rappresenta un momento di grande
fragilità perché è un momento bellissimo ma anche destabilizzante soprattutto se avviene
in realtà esterna e la donna deve affrontarla da sola. Un altro momento critico riguarda i
bambini e il loro inserimento a scuola. Si tratta di un traguardo, per cui di un momento
positivo, però indubbiamente rappresenta anche una grossa difficoltà perché il bambino
deve affrontare un’ambivalenza di messaggi: da una parte è giusto che mantenga le
proprie radici e nello stesso tempo riceve richieste dalla società che ospita. Un dualismo
che può determinare una grande frattura nel bambino ma anche nella famiglia. Anche
l’adolescenza è un momento delicato, soprattutto per le ragazze, perché la famiglia di
origine tenta in diversi modi di mantenere le proprie tradizioni e mentre i figli maschi sono
generalmente più liberi, per le ragazze il maggior controllo può generare difficoltà di
relazione con la famiglia».
Una segnalazione infine riguardante le malattie respiratorie, a partire dalla tubercolosi.
«L’incidenza della TBC è leggermente più elevata negli stranieri rispetto agli italiani: 12
casi su centomila abitanti rispetto a 7 casi su centomila abitanti, per cui si tratta di una
differenza poco significativa» spiega Guglielmo Meregalli, pneumologo e volontario in
ospedali e ambulatori di medicina di base in Zambia, Swaziland e Tanzania. «Il maggior
rischio riguarda gli stranieri, soprattutto perché per molti è più difficile avere accesso alle
cure. Il trattamento della TBC è abbastanza semplice ed efficace, ma deve essere
somministrato a lungo, per quattro-sei mesi, per cui è necessaria una certa continuità di
accesso alle cure. Se questa è assicurata la guarigione è pressoché completa. E per
debellare la TBC nel mondo è necessario poterla diagnosticare tempestivamente anche
nei paesi poveri. Purtroppo in alcune zone rurali, soprattutto in Africa, i centri per fare test
diagnostici sono distanti 150-200 chilometri da molti villaggi».
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